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Fase 2
1965-70 – evoluzione, evolution

Fase 2: 1965-70 – evoluzione, evolution

Dopo il trasloco alla Villa Strozzi l'istituto continua il suo servizio con un numero minore di persone, circa 60. Oltre i tanti volontari presenti dalla fondazione di Casa Cares, in modo particolare dalla Svizzera, nel 1965 inizia il rapporto con un college USA luterano (il Concordia Teachers College di Chicago) da cui arrivano negli anni seguenti una serie di volontari. Nel 1967 il Pastore McConnell non rientra da un periodo trascorso negli Stati Uniti e affida la direzione a Sandy Anderson. Nel 1968 questi e il comitato di amici dell'istituto passano la responsabilità a Paul Krieg. Sono anni di adattamento ma abbastanza tranquilli nonostante le turbolenze sociali e politiche del periodo. Già nel 1969 circolano le voci di una vendita della villa e la necessità di un ulteriore trasloco, avventuroso visto la situazione finanziaria precaria, ma incoraggiato dagli amici che nel frattempo hanno giuridicamente formato un comitato optando per un eventuale acquisto per dare stabilità all'opera. Dopo mesi di ricerca una soluzione appare nella Fattoria I Graffi, Reggello. La proprietà consiste in quattro strutture, cinque ettari di bosco e quattro ettari di terra con oltre seicentro ulivi.

The move to the Villa Strozzi reduces the number of residents to about sixty. In addition to the many volunteers present from the founding of Casa Cares, especially from Switzerland, in 1965 the arrival of three American volunteers begins a long collaboration with Concordia Teachers College, Chicago. In 1967 Pastor McConnell does not return from a stay in the United States and passes the responsibility, with the approval of friends of the home, to Elsworth Sandy Anderson, the Concordia student who was the first to become acquainted with Casa Cares while studying at the Stanford University extension campus in Florence. The friends, now formally in an association, in 1968 approve Sandy's passing the leadership to another Concordia student, Paul Krieg. There follow years of relative stability despite significant challenges, including those of funding, and the turbulent social and political situation of the times. Already in 1969 circulate voices of the sale of the property and the need for another move. Without funds but with the encouragement of the circle of supporters a long, somewhat desperate search begins to buy a facility to provide stability to the work. After months, the choice is that of the Villa I Graffi, another historical property 35 kilometers southeast of the city. The property has four structures, 13 acres of woods and ten of farm including over 600 olive trees.

I Protagonisti

SUSI SIGRIST-GYSEL

Volontaria '67

Una sera di aprile siamo arrivate alla stazione di Firenze. In Svizzera faceva freddo e pioveva e qui ci aspettava la primavera con i suoi profumi, i suoi fiori e il bel caldo del sud… questa era la prima sorpresa.

La seconda sorpresa: ci aspettava una grande casa, un palazzo pieno di ragazzi piccoli e grandi col direttore McConnell e il personale. E ci aspettava un vecchio letto di ferro in camera delle svizzere sotto cui mettevamo sotto la nostra valigia per poter dormire più o meno in posizione «diritta»…

Terza sorpresa: le strutture e l’organizzazione di questa casa nei primi giorni ci sembravano essere un grande mistero, ma con l’aiuto del direttore McConnell e le spiegazioni delle ragazze svizzere e dell’altro personale ma anche dei ragazzi italiani abbiamo imparato velocemente i nostri compiti. Eravamo due infermiere giovani e il cambiamento venendo dal nostro ospedale svizzero a Casa Cares è stato «un tuffo nell’acqua»…

Questo «tuffo nell’acqua» ci ha portato la quarta sorpresa: l’esperienza eccezionale di vivere alcuni mesi a Casa Cares con i ragazzi, di partecipare a questa comunità straordinaria, di dividere le tante belle cose ma anche i problemi, di dare la nostra parte per lo sviluppo e il benessere dei bambini e di conoscere la bella città di Firenze.

Di problemi c’erano abbastanza da risolvere. Di seguito alla quasi sempre presente mancanza di soldi abbiamo raccomodato i vestiti dei ragazzi e i „grembiuli neri“ che i più giovani dei bambini erano costretti a portare per andare a scuola. Spesso i pranzi non erano in abbondanza, nessuno è morto di fame, ma la gioia è stata grande quando ogni tanto abbiamo portato un gruppo di ragazzi « Da Nuti » per farli mangiare la pizza e il calzone.

L’educazione di tutti questi ragazzi ci faceva discutere molto! Guardando indietro penso che non è stato possibile rendere giustizia a tutti. Ma devo anche dire che Casa Cares per moltissimi è diventato casa, rifugio, famiglia e luogo di amicizie. Inoltre a molti ragazzi soprattutto dal Sud ha dato la possibilità di frequentare le scuole al nord che a quei tempi erano di un altro livello di quelli del Sud come, per esempio, nei paesi d’Abruzzo.

E questa regione abruzzese la volevamo conoscere e vedere da dove venivano alcuni dei ragazzi. In tre siamo partite, Susanna, Cristina ed io. Abbiamo visitato l’Aquila, poi Gissi! Arrivate a tarda sera per fortuna abbiamo trovato una semplice camera per dormire. Nei giorni seguenti abbiamo fatto visita a tutte le famiglie dei «nostri ragazzi» e abbiamo provato una grande ospitalità dappertutto, anche nella comunità evangelica dove ci hanno invitate a cantare degli inni delle nostre chiese svizzere. A tre voci abbiamo cantato, alla fine un grande applauso con le parole "Come gli angeli del cielo!"

Per fortuna avevo imparato l’italiano a scuola nel mio paese della Svizzera tedesca e questo mi aiutava molto venendo al Cares e anche per i contatti fuori. Un esempio, Leonardo, uno dei ragazzi piccoli, una notte è caduto dal suo letto di sopra e ha battuto fortemente la testa sul pavimento. Per una frattura cranica veniva operato urgentemente. I suoi genitori non erano in grado di assisterlo in ospedale come era di uso. Quindi abbiamo organizzato i turni per stare con lui. Per molte sere e notti sono andata in ospedale, all’inizio ho notato una grande diffidenza da parte del capo di reparto che era una suora cattolica. Ma parlando con lei si è sviluppata una bella fiducia e accettavano volentieri il mio aiuto da infermiera anche con gli altri operati, alcuni in gravi condizioni. Leonardo è guarito ed è tornato a Cares da suo fratello Michele.

Scrivendo queste righe voglio ricordare alcune delle tante persone che ho incontrato al Cares e che non ho mai dimenticato. Hanno fatto parte di un periodo importante ed eccezionale nella mia vita. Al primo posto i ragazzi con la loro allegria, ma anche con i loro bisogni. I direttori McConnell, Sandy e Carol e Paul Krieg con Antoinette. Sono felice di aver incontrato insieme a mio marito Paul e Antoinette partecipando ad alcune riunioni. Guardando le foto di una volta vedo la vecchia Gina, Walter Cecchetti, il Professore Maselli, di cui ricordo le sue meditazioni molto convincenti e profondi. Questi ultimi non sono piu tra noi, ma vorrei dire un grande GRAZIE a tutti.

Un saluto anche a tutte le colleghe svizzere che ho perso di vista nel flusso degli anni. Casa Cares ha lasciato delle tracce nella mia vita e nella vita di mia amica Cristina che abita in Germania. Quando siamo insieme ricordiamo volentieri l’anno 1967 che, facendoci conoscere Casa Cares, ci ha regalato delle esperienze indimenticabili.

Grazie a tutti!

Susi Sigrist-Gysel, Weinfelden CH, 22 settembre '16

SUSANNA KELLER

Volontaria, 5-9.'67

Casa Cares Ricordi bellissimi (anche di una situazione difficile)
Una casa piena di vita, piena di bambini, vivace, allegro, turbulento

I “piccoli”, i “grandi”, i “piccolissimi”, i “mezzi – grandi”
ragazzi e ragazze, da 3 a 18 anni

Un “Rifugio” nascosto su una collina in centro di un bel parco!

Sandy come Direttore con Carol, sua moglie e tante Svizzere…

Mi aspettavano ca. 10 bambine da 7 a 12 anni!? Era il mio gruppo da guidare ma - come fare??? E poi Filippo, il piccolo Sardo da quattro anni che faceva chiasso a ogni pranzo! Ma, - era il mio Tesoro!

Non dimentichero` mai il Professore Maselli che ci dava lezioni bibliche molto importanti – un uomo che predicava il Vangelo con passione.

Ho incontrato molta fede, preghiere sincere anche per quello che mancava nella communita.

La domenica le ragazze sempre Volevano andare in bicicletta nelle Cascine. ( Io invece preferivo salire la torre del Palazzo Vecchio :-) )

Indimenticabile: - gire insieme a tutti - belle uscite la sera - la pizza da Nuti - un bel campeggio al mare - i grandi davanti alla radio per sentire le novita della guerra di sei giorni in Israele! –

che gioia se hanno vinto!

La mentalita italiana! Discussioni infinite, Amicizia, gentilezza e e e …. Grazie a tutti e tante belle cose!

Susanna Meister-Keller, Riehen, 1 gennaio '17

BEATRICE MÜLLER

Volontaria '68

Da piccola il mio desiderio è stato di conoscere e parlare la lingua italiana. A 17 anni ho partecipato a un corso alla scuola italiana di Basilea e nella terza lezione sento come una donna porta saluti all’insegnante dalla figlia che sta come volontaria in un istituto per bambini a Firenze. Mi metto accanto, per ascoltare il discorso tra di loro. Interrompo per chiedere l’indirizzo per prendere contatto, nella speranza che hanno un posto libero per me.

Poche settimane dopo, il 28 marzo arrivo a Casa Cares, con pochissime parole italiane. Sono stata molto impressionata della casa, del parco, dei bambini, della gente, dei responsabili (Sandy e Carol) e sorveglianti o studenti, della povertà, del calore e della forza nelle preghiere, canzoni e parole di fede. Col tempo capivo che Casa Cares è una casa con arrivi e partenze, allegria e tristezza.

Le prime tre settimane trascorro nella lavanderia. Al momento sono l’unica che sapeva cucire con la vecchia macchina. Quante montagne di vestiti, pantaloni, grembiuli rovinati vedo!

Poi, sono fortunata, mi hanno affidato il mio primo gruppo come sorvegliante, i piccolissimi: Augusto, Gianni, Roberto e Andrea. Bimbi pieni di temperamento, carini e birichini. Con loro faccio abbastanza velocemente progressi nella lingua italiana e cosi prendo coraggio per andare da sola in città a comprarmi una maglia. Nel negozio però rimango un po' timida e chiedo per un maiale. Non capisco perché tutti ridono. E mi spiegano che il macellaio si trova di fronte. Che vergogna!

Poche settimane dopo mi spostano al gruppo delle bambine: Rosaria, Maria grande, Maddalena, Gelsomina, Maria piccola, Lydia e Giacinta. Ogni bambina è unica, diversa dell’ altra, con esigenza di calore. Tutto abbinano gioia o rabbia. Importante per me è accompagnarle a letto in piena pace.

Il 30 maggio partono Carol e Sandy e l'11 giugno Dana, Betty, Sylvia e Dany. A tutti noi faceva pena. Tante lacrime!

Il 25 luglio Casa Cares festeggia 6 anni di vita, per tutti un giorno libero. Allora, che faccio? Dev’essere un giorno veramente speziale. Cosi decidiamo (Antonio Trivelli ed io) di invitare le bambine per una visita al museo nazionale (ancora non erano mai state) e poi per mangiare un buon gelato. Che occhi felici!

Il primo settembre l’arrivo di Paul, Tiny, Chris e Lois che aspettavamo in grande attesa. Accoglienza con tanto chiasso, con dei bambini che battono le pentole dalla cucina. Il giorno dopo partono Al e Franzese. Tutti del Cares li accompagnano alla stazione, anche Gina, che di solito non usciva di casa.

Al fine del mese arriva il momento della mia partenza, una separazione dalla mia famiglia amata che mi ha segnata per tutta mia vita. Arrivo a casa mia. Non manca quasi niente, avevo da mangiare, sicurezza, lavoro, tutto, tutto, ma dentro di me, mi sento vuota. Perdo io un periodo ricco di grande povertà.

L’anno seguente torno un’altra volta per alcune settimane, un ritorno a casa!

Anni dopo, diversi bimbi, adulti adesso, si riunirono a Reggello e raccontano come era per loro, la vita al Cares. Alcuni dicevano che spesso la sorvegliante diventava come una mamma per loro, si sono attaccati a lei, e pochi mesi dopo lei se ne andava e un altra veniva. Sono rimasti soli con il loro dolore per un certo tempo, erano momenti molto difficili e di piena di tristezza.

A questo punto non avevo pensato, mi dispiaceva molto e mi sono vergognata, ancora oggi.

Lo stesso sono molto riconoscente di aver potuto dare del mio tempo ai bimbi e per tutto quello che loro mi hanno regalato. Non lo dimenticherò mai.

Beatrice Müller, Binningen CH, 17 settembre '16

EDWARD PEDUZZI

Guest '65-'68,92+; Group leader '96+

I first learned of Casa Cares on a student ship in 1965 sailing with three young guys from Concordia College who were going to volunteer in a children's home in Florence. I visited and followed the center and these friends over the years. Since the early '90's I have brought groups (mostly American Teachers, usually 25-20 persons, typically 1 group but sometimes 2 or 3 per year) for 7-9-day stays in Casa Cares, using the center as base to discover the treasures of Tuscany. The groups were amazed and appreciative, so much so that I never tired of coming again and again and hearing their end-of-stay comments.



Ho conosciuto per la prima volta di Casa Cares su una nave studentesca nel 1965, navigando con tre giovani ragazzi del Concordia College che si sarebbero offerti volontari in una casa per bambini a Firenze. Ho visitato e seguito il centro e questi amici nel corso degli anni. Dall'inizio degli anni '90 ho portato gruppi (principalmente insegnanti americani, di solito 25-20 persone, in genere 1 gruppo ma a volte 2 o 3 all'anno) per soggiorni di 7-9 giorni a Casa Cares, usando il centro come base per scoprire tesori della Toscana. I gruppi sono stati sorpresi e riconoscenti, al punto che non mi sono mai stancato di tornare ancora e ancora e ascoltare i loro commenti di fine soggiorno.

Edward Peduzzi, White Plains NY USA, January '16

JUDITH SIEGEL

Volontaria '67-'69, '72-'73; Membro del Comitato '93-'00

Il nome di questa struttura, prima istituto per ragazzi e casa per ferie delle chiese valdesi e metodisti poi, risuona dentro di me come un mantra, simile a ‘mamma’ e ‘babbo’. Di fatti, il modo in cui ho vissuto quasi 50 anni fa la vita quotidiana della casa da giovane volontaria, e la valenza fantastica che questa ha assunto negli anni a seguire, ha avuto su di me un impatto formativo di altissimo tenore. Ho trovato una seconda famiglia nella quale proseguire la mia crescita, essendo arrivata a Firenze dagli USA nel 1967, all’età di 20 anni.

A questa giovane età eravamo in diversi che abbiamo accettato di dare una vita famigliare a bambini e adolescenti che si trovavano ad averne bisogno per motivi socio-economici, ma anche perché di fede protestante. Credo che abbiamo fatto del nostro meglio, in tempi dove c’èra grande spontaneità e meno regole di oggi. Fare un’esperienza simile ora sarebbe probabilmente proibito. Qualcuno fra gli adulti coinvolti non erano particolarmente adatti a stare con minori, mentre altri arrivavano più attrezzati di capacità personali, e riuscivano a muoversi meglio fra le famiglie, le chiese, e il sistema socio-sanitario italiano di allora.

In retrospettiva, se Casa Cares non avesse avviata una qualche forma di assistenza ai minori, quest’attività l’avrebbe fatto qualcun’altro. Forse alcuni dei fanciulli/e che hanno vissuto quest’esperienza avrebbero potuto avere una vita meno movimentata, se fossero rimasti in famiglia. Poi, però, penso a quanti, avendo vissuto con stranieri di diversa provenienza, hanno potuto allargare i loro orizzonti, e trovarsi dopo avvantaggiate nelle scelte della vita. Qualcuno/a si ricorda di non aver saputo la sua collocazione nel mondo, essendosi allontanato/a dal luogo e cultura di provenienza, avendo acquisito una formazione che assumeva un effetto estraniante: insomma, né carne né pesce. Un fatto mi ha sempre colpito: dei bambini presenti fra il 1967 e il 1975, diversi sono morti giovani, per motivi genetici, di salute cagionevole, ma anche per scelte sbagliate.

Dagli anni ’80 ad oggi, è avvenuto un’integrazione piena fra ex-sorveglianti e direttori, i giovani studenti e bambini di allora, e gli amici che ci hanno seguito, insomma, tutti che hanno vissuto quest’esperienza singolare. Ormai c’è il sapore di una famiglia che ha saputo valutare il passato, valorizzare il presente e proiettarsi nel futuro, non senza talvolta smarrirsi.

Casa Cares è sempre stata una realtà a sé nel panorama del protestantesimo italiano. Dal 2016, essendo ora collocato all’interno del CSD, essa dovrebbe acquistare un’identità di maggiore inserimento, auspicando che non perda tutta la magia che la contro-distingueva.

Una nota finale – quest’esperienza all’interno del Protestantesimo italiano, specie per chi è nato altrove, ci rende partecipi in maniera singolare della storia italiana degli ultimi 150 anni, forse per l’identità minoritaria, che diventa radice profonda.



Volonteer '67-'69, '71-'73; Board Member '93-'00

The name of this place, formerly a children’s home and now a retreat/vacation center for the Waldensian and Methodist Churches in Italy, rings in my mind like a mantra, closer to ‘mama’ and ‘papa’. In fact, the way I first experienced everyday life in this center almost 50 years ago as a young volunteer worker, plus the imaginative value attached to it over time, has had a highly educational impact on me. Arriving in Florence, Italy, from the USA in 1967 at age 20, I found a second family in which to continue personal growth.

There were a number of us in the same age bracket that had accepted to provide a family environment for children and adolescents in need, for socio-economic reasons or because they were of the Protestant faith. I believe we did our best, in times of great spontaneity and less stringent rules. To promote a similar experience today would be impossible in our over-regimented societies. A few of the young volunteers involved were not particularly suited to working with minors, while others were more gifted with personal skills, and were better able to deal with families, the churches and the Italian health authorities and representatives of local government.

Looking back, had Casa Cares not sponsored this sort of children’s home, someone else would have. It is possible that some of the children would have had less upheaval in their lives had they remained in their families of origin. Then, however, I remember the many who, having lived with people from different lands and languages, were able to expand their horizons and reap advantages in making daring choices for their future. Some of them remember not knowing their place in the world, having been separated from their birthplace and culture of origin, while in the meantime they had received an education that thus created an estranging effect. Another fact has always struck me: of the children present in the home from 1067 to 1975, some died at a very young age for genetic and general health reasons, but also due to taking the wrong path.

From the 1980s to today, a full understanding has been reached among former house-parents and directors, the young students and children and all the friends who have accompanied us, i.e. whoever experienced this singular adventure. By now our self-awareness has all the flavor of a family that has evaluated the past, is intent on exploiting the present and is projecting itself into the future, even though at times we thought we were lost.

Casa Cares has always had a special aura surrounding it in the panorama of Italian Protestantism. From 2016, it will be under the strict surveillance of the CSD, synodical commission for all similar structures in Italy, and this new status should assure a greater assimilation - hopefully, without losing all the magic that has distinguished it.

A final note – this experience threw me into the middle of Italian Protestantism, allowing for a singularly unique handle into Italy’s more recent history, since the country was politically unified 150 years ago. Evangelisation campaigns ensued and the resulting minority identity has created the deepest sense of belonging to this time and place.

Judith Siegel, Molino del Piano FI, luglio '16

MARGIE TAKIGUCHI

Volunteer '67

One incident comes to mind when the Piccoli wanted to listen to a soccer game and no radio was available ...I offered to lend them my little sony transistor and was met with derision and disbelief that I would suggest such a thing : " Didn't I realize that my radio being Japanese made would be broadcasting the game in Japanese, and how were they going to understand a word if it!?!?".... It took some explaining but they eventually happily borrowed it!

Then there was the incident with Pascuale Bavosa's bread....Pascuale had received a loaf of bread from his family and asked if I could keep it in my room for safe keeping, and each day after school he'd ask for a piece....well, a few days passed with no requests, so I thought he'd forgotten about it ( it had also become quite hard!) so I tossed it in my waste basket. Naturally he came and asked for it and when I told him what I'd done with it, he burst into uncontrollable sobs..I quickly retrieved the bread from my wastebasket and gave it to him and tried to console him as best I could by telling him to keep the bread by his bed...assuring him the other boys would leave it alone...which they did, because they all understood how things representing their home and families were so dear and precious. (And besides by this time the loaf could easily be confused with a stone from the coliseum!). Pascuale was really a dear boy.



Mi viene in mente un incidente quando i piccoli volevano ascoltare una partita di calcio e nessuna radio era disponibile ... Mi offrii di prestare loro il mio piccolo transistor Sony e fui accolto con derisione e incredulità che avrei suggerito una cosa del genere: "Non mi rendevo conto che dalla mia radio giapponese sarebbe stata la trasmissione del gioco in giapponese, e come avrebbero capito una parola!!!? ".... Ci sono voluti alcuni chiarimenti ma alla fine l'hanno preso in prestito felicemente!

Poi c'è stato l'incidente con il pane di Pascuale Bavosa ... Pascuale aveva ricevuto una pagnotta di pane dalla sua famiglia e mi aveva chiesto se potevo tenerlo nella mia stanza per conservarlo in sicurezza, e ogni giorno dopo la scuola mi chiedeva un pezzo. ... beh, sono trascorsi alcuni giorni senza richieste, quindi ho pensato che se ne fosse dimenticato (era diventato anche piuttosto duro!), quindi l'ho buttato nel cestino. Naturalmente è venuto a chiederlo e quando gli ho detto cosa avevo fatto con esso, è scoppiato in singhiozzi incontrollabili ... Ho rapidamente recuperato il pane dal mio cestino e glielo ho dato e ho cercato di consolarlo nel miglior modo possibile dicendogli di tenere il pane vicino al suo letto ... assicurandolo che gli altri ragazzi lo avrebbero lasciato da solo ... cosa che fecero, perché tutti capirono come le cose che rappresentavano la loro casa e le loro famiglie fossero così care e preziose. (E inoltre a questo punto la pagnotta poteva essere facilmente confusa con una pietra del Colosseo!). Pascuale era davvero un caro ragazzo.

Margie Takiguchi, Los Angeles CA USA, January '16

JOEL & KAREN BERKELAND

Volunteers '69-'71

Remembering Casa Cares

In the summer of 1969 I came up the hill from Via Pisana for the first time to the front door of Casa Cares. The pulmino was parked outside and Paul was in the office. I met him for the first time. That week I watched the astronauts return from the moon. It was on the TV down at the corner bar. That was the beginning of a most wonderful experience.

I met Margie Murakami who would be my partner during that school year as we helped care for a group of young boys. I didn’t know it at the time, but Margie was from Southern California, just like me. Margie and the children taught me Italian and a million other things. I had a lot to learn.

I went back home the next summer, married the love of my life, Karen, and we both returned for another year. We started our married life as houseparents to a group of young boys. In those days there were dozens of us of all ages and backgrounds living together in the same house. Baths were infrequent, food was simple and the friendships were something we never would forget.

That year we needed to relocate everyone we could from the Villa Strozzi in Florence. I remember the day that Karen and I rode with Paul and Antoinette to look at a farm, the Fattoria I Graffi, near Reggello. The caretaker, Mario, was there to greet us and show us around the place. It wasn’t perfect, but hundreds of people who don’t even know each other have made it the place it has become.

I miss Gina, the oldest among us. She kept an eye on us, which included beating up on the dusty old rats with her broom. I think the rats were just happy to have someone move into the place and bring food.

More than 20 years later I returned to Casa Cares, which was now a guesthouse, with my oldest son, Dan. Dan had just graduated from college. I wanted to show him the old place in Florence and the current place that his mother and I loved. I returned to Los Angeles after a short visit, but Paul convinced Dan to stay on as a volunteer for several more years.

Having returned several times since the days of the children’s home it still feels like home. I think the metaphor of the stained glass window fits Casa Cares quite well. The people and experiences are the colored glass, but it is the light shining through them that gives the beauty. I hope that light keeps shining.

There are places I remember all my life…………….

Thank you Paul and Antoinette.



Ricordando Casa Cares

Nell'estate del 1969 salii per la prima volta la collina di via Pisana fino alla porta di Casa Cares. Il pulmino era parcheggiato fuori e Paul era in ufficio. L'ho incontrato per la prima volta. Quella settimana ho visto gli astronauti tornare dalla luna. Era sulla TV al bar dell'angolo. È stato l'inizio di un'esperienza meravigliosa.

Ho incontrato Margie Murakami che sarebbe stata la mia compagna durante quell'anno scolastico mentre aiutavamo a prenderci cura di un gruppo di giovani ragazzi. All'epoca non lo sapevo, ma Margie era della California del sud, proprio come me. Margie e i bambini mi hanno insegnato l'italiano e un milione di altre cose. Ho avuto molto da imparare.

Sono tornato a casa l'estate successiva, ho sposato l'amore della mia vita, Karen, ed entrambi siamo tornati per un altro anno. Abbiamo iniziato la nostra vita coniugale responsabili per un gruppo di giovani ragazzi. A quei tempi c'erano dozzine di persone di tutte le età e origini che vivevano insieme nella stessa casa. I bagni erano rari, il cibo era semplice e le amicizie erano qualcosa che non avremmo mai dimenticato.

Quell'anno dovevamo traslocare tutti quelli che potevamo dalla Villa Strozzi a Firenze. Ricordo il giorno in cui Karen e io cavalcammo con Paul e Antoinette per guardare una fattoria, la Fattoria I Graffi, vicino a Reggello. Il custode, Mario, era lì per salutarci e mostrarci il luogo. Non era perfetto, ma centinaia di persone che non si conoscono nemmeno l'hanno fatta diventare il posto in cui è diventata.

Mi manca Gina, la più anziana tra noi. Ci teneva d'occhio, tra cui picchiare con la sua scopa i topi che erano residenti nella villa abandonata quando siamo arrivati. Penso che i topi fossero felici di avere qualcuno che si trasferisse nel posto e portasse del cibo.

Più di 20 anni dopo sono tornato a Casa Cares, che ora è una foresteria, con mio figlio maggiore, Dan. Dan si era appena laureato. Volevo mostrargli il vecchio posto a Firenze e l'attuale posto che io e sua madre adoravamo. Sono tornato a Los Angeles dopo una breve visita, ma Paul ha convinto Dan a rimanere volontario per molti altri anni.

Ritornato più volte dai tempi della casa dei bambini, sembra ancora di essere a casa. Penso che la metafora della vetrata si adatti abbastanza bene a Casa Cares. Le persone e le esperienze sono il vetro colorato, ma è la luce che splende attraverso di loro che dà la bellezza. Spero che la luce continui a brillare.

Ci sono posti che ricordo tutta la mia vita ...............

Joel Berkeland, Santa Clarita CA USA, February '16

MULAN LIM

Volunteer '69-'70

Paul's invitation to volunteer at Casa Cares, in Via Pisana, Firenze, came unexpectedly. But who could resist working and living in Firenze ?

Never mind that my knowledge of Italiano was limited to musical terms. After all, Paul had accepted me on trust-- that I could play the piano. I really could ! -- but in the early months when I accompanied the hymns for the worship services at the home, I'd inevitably start playing the wrong hymns. It took a while for me to process the numbers promptly . Eventually Italian immersion in the home gave me a limited facility with the language. What a difference that made!

Communal life at Casa Cares was an invaluable experience . You learnt to get on with fellow volunteers from everywhere, as well as with the children and other staff. Gina, doling out the merenda of a small triangle cheese and a slice of bread, was a force to be reckoned with. Some of the boys wet their beds regularly. For Brigitte and me, whose original duties were as guadaroba girls, the daily washing of those sheets was a trial, especially when the dryer was small and inefficient. Sometimes, much to our embarrassment, the two of us accidentally shrank some garments. Occasionally, too, we'd succumb to the gas fumes in the confined basement laundry and we'd rush off upstairs for a bit of a lie- down.

I looked forward to the daily large plastic bowls of hot " chocolate" and the macedonia dessert (however over-ripe the fruit !) and the Sunday chicken dinners. And when some American soldiers visited with gifts of American bread, peanut butter and honey, what a treat! Funny how little things gave us pleasure.

Working alongside different people from different countries, socialising with visitors, tripping off on little trips around Firenze, driving in the pulmino to town whenever Paul suggested a supper of gelato or pizza, once all the children were tucked in, these are among my fond memories of the eight months I volunteered at Casa Cares. I made some special friends there and feel blessed that we are still in touch.



L'invito di Paul a fare volontariato a Casa Cares, in Via Pisana, a Firenze, arrivò inaspettatamente. Ma chi potrebbe resistere a lavorare e vivere a Firenze?

Non importa che la mia conoscenza dell'italiano fosse limitata a termini musicali. Dopotutto, Paul mi aveva accettato con fiducia, che avrei potuto suonare il piano. Potrei davvero! - ma nei primi mesi quando accompagnavo gli inni per i servizi di adorazione, inevitabilmente iniziavo a suonare gli inni sbagliati. Ho impiegato un po' di tempo per elaborare prontamente i numeri. Alla fine l'immersione italiana in casa mi ha dato una struttura limitata con la lingua. Che differenza ha fatto!

La vita comunitaria a Casa Cares è stata un'esperienza inestimabile. Hai imparato ad andare d'accordo con altri volontari da ogni parte, così come con i bambini e il personale. Gina, distribuendo la merenda di un piccolo formaggio a triangolo e una fetta di pane, era una forza da non sottovalutare. Alcuni ragazzi bagnano regolarmente i loro letti. Per me e Brigitte, i cui compito inizialmente era la cura della guardaroba delle ragazze, il lavaggio giornaliero di quelle lenzuola era una prova, specialmente quando l'asciugatrice era piccola e inefficiente. A volte, con nostro imbarazzo, noi due abbiamo accidentalmente ridotto alcuni capi. Occasionalmente, anche noi soccombevamo ai fumi di gas nella lavanderia del seminterrato e scendevamo di sopra per un po' di relax.

Attendevo con ansia le grandi ciotole di plastica giornaliere di "cioccolata calda" a colazione e il dessert macedonia (comunque il frutto troppo maturo!), e le cene di pollo la domenica. E quando alcuni soldati americani hanno visitato con doni di pane americano, burro di arachidi e miele, che meraviglia! Divertente come le piccole cose ci abbiano dato piacere.

Lavorare al fianco di persone diverse di paesi diversi, socializzare con i visitatori, fare escursioni in piccoli viaggi intorno a Firenze, girare nel pulmino in città, ogni tanto Paul ha suggerito una cena a base di gelato o pizza, la volta che tutti i bambini sono stati nascosti --- questi sono tra i miei ricordi più cari degli otto mesi in cui mi sono offerto volontario a Casa Cares. Ho fatto amicizia con alcuni amici speciali e ho la fortuna di essere ancora in contatto.

Mulan Moroney(nee Lim), Tingira Heights NSW AUS, November '15

JANINE THOMAS

Volunteer '70-'71

CASA CARES, THE VILLA ON THE HILL

I have discovered that throughout the ensuing decades, what seems like events from a lifetime ago became a major turning point in my life. In 1970, returning to Concordia University, River Forest, Il, after winter break, I happened to see a bulletin board posting of a position available at Casa Cares in Florence, Italy. I was aware of Casa Cares as our school sent periodic donations. I called my mother to let her know of my interest in applying. She was not happy. “Finish your degree and then go”, she counseled. I was in my third year studying to be a music teacher for the Missouri Synod Lutheran school system, but as much as I loved music I knew teaching was not my calling. Fortunately for me, my mother’s boss was Italian and upon hearing of my desire to go, he encouraged her to relent. “Jean”, he said, “let her go. It will be the best thing she ever did. She’ll have experiences that she can never get from any books.” As my father had died six years earlier, my mother often turned to her boss for advice and so she finally consented. Happily, I was accepted for the position.

As I look back, I’m not sure why I had the need to deviate from what appeared to be a perfect life plan, but I am pleased that I had the tenacity to do so. Twenty years old, ticket in hand purchased by all the money I had in the bank, one suitcase, zero knowledge of the Italian language, scared out of my mind, I climbed the steps onto the Alitalia airplane wondering what lay ahead and what was I thinking?! I sat next to a very large man who required two seats, didn’t speak any English and kept offering me greasy pastries. I cried the entire flight. (I’m pretty sure I cried the entire first month I was at Casa Cares, too!)

I believe it was Paul Krieg who retrieved me from the airport to take me to 77 via Pisana in Florence. I remember the beautiful drive and the approach to the enchanting Strozzi Villa, high on a hill, home to Casa Cares, and my new home far away from Cheshire, Connecticut.

I had several roommates, two from Switzerland and one from Baltimore, MD. It’s always a relief when you don’t speak a language to be in the company of someone who speaks yours! However, Italian was the only language spoken in house gatherings so to give me time to learn it I was assigned to the laundry room. Think dark basement, antiquated washing machine and a whole lot of clothes. I had to fill the machine with water by hose, and then light a pilot light to heat the water. That made me nervous every time. I never minded doing the laundry, but I made some enemies when I accidentally threw something red in with the kids’ white soccer uniforms and they all came out PINK! I couldn’t speak enough Italian at that point to understand the angry words being hurled in my direction, but I knew they weren’t happy ones. No translation was needed to grasp the travesty I had just committed! I may have been expelled from my laundry duties after that.

My next assignment was to be the sorvegliante for eight little boys, the piccoli. I got them up in the morning, downstairs to breakfast and then walked them to school. I’m pretty sure the first words they taught me were swear words. I knew they were taking great joy in fooling me to believe they were being helpful as my teachers. They also tricked me by telling me mortadella was donkey meat, which repulsed me and caused me to give my portion away to the highest bidder, aka the one with the biggest smile, usually Davide.

While the kids were at school I was able to practice Italian by watching little Sara, who at age three years old (?), spoke on a par with me. Having studied one year of Latin, four years of high school French and one year of German in college, I found Italian a joy to learn as I eased into it. Paul generously arranged for me to audit Italian grammar classes at Gonzaga University’s Florence campus. My ability to speak Italian was improving, but I had no clue how to read or write it so I found the classes helpful.

Living in the villa was an amazing experience in itself. How many people have the opportunity to live in a villa built for the Strozzi family, one of the leading families of the Renaissance? Although the villa was in a state of disrepair, the main rooms were stunningly ornate with centuries old painted walls, gold door handles, high ceilings, stately tall windows and a number of floors. I don’t remember how many floors, but I know I climbed many stairs throughout the day.

The bedroom I shared with my roommates was heated by a wood burning fireplace and a space heater, so it was quite cold in winter. We also were allotted one bath per week. Our monthly salary was $25.00 US dollars.

Recalling the bucolic grounds surrounding the villa, I have fond memories of walking through the expanse of grass and trees picking up pinoli, pine nuts, eating them as fast as I could gather them, while envisioning what the original gardens were like hundreds of years before. Scattered garden features and statues, the fountain in the front courtyard and the garden conservatory lent themselves to the musings of ages past and what daily living must have been like for the elite and the lower class whose lives, along with mine, were intertwined by this property.

One of my vivid memories is when Antonio, the cook, died. In the custom of the day, he was laid in his bed for viewing. It was a custom with which I was not familiar or comfortable, but I had to accompany some of the children so they could pay their respects. I don’t think I slept well for the next several nights knowing his body was down the hall. After a period of time, rigor mortis had set in and it was difficult to not only move his large body, but to fit him in his coffin. I vaguely remember something about a larger coffin being made to accommodate him.

One of the highlights of my time at Casa Cares was when a group of us went to the Piedmontese region near Torino to help harvest grapes. I’m sure I never physically worked so hard in my life and so it left an indelible impression on me. We rose in the dark (after sleeping in a farm bed so high I needed a stool to get in and out), ate breakfast in the dark, had lunch and merenda out in the fields, then back to the farm lodging for dinner in the dark, and falling into bed exhausted, yet looking forward to the next day to do it all over again. I’m not sure how long we were there but I want to say a good part of a week. I’ll never forget climbing up and down a ladder in the fields with a handful of white grapes that had to be gently placed in a box. No tossing from the top of the ladder, like the red grapes. White grapes were more delicate and required more attention. I think of that every time I wash supermarket grapes at my kitchen sink.

I have forgotten names of many of the residents and staff, but I haven’t forgotten their faces. From Davide, the youngest of the piccoli, to Barbara Thuner, one of the many lovely Swiss who taught me how to make Bircher Muesli, and many others I have often thought of over the years, leaves me with a sense of a magical time that Casa Cares seemed to create. We were a United Nations of sorts, thrown together from all walks and circumstances, connected by spirit.

Although Cares was a home for many, it was a welcoming rest stop for travelers seeking a warm meal and camaraderie. I wasn’t aware of anyone ever being turned away. I met people from all over the world who found their way to the open doors of the villa on the hill. Some impressions were more lasting, like the American woman traveling in a sports car with her Weimaraner. The dog was as large as I and insisted on sleeping in my bed with me. One morning I awoke with him on top of me, full body weight and snoring in my face. I had to call for help to have him removed!

The essence of Cares was one of caring for all people regardless of the path that brought them to its doors. It was a special time for all of us that were fortunate enough to have experienced such a precious opportunity of service. I consider it one of my greatest blessings and am thankful my wonderful mother, who is now 97 years old, agreed to let me go find a new path for my life. Casa Cares was the portal for that path and I am eternally grateful.



Ho scoperto che nel corso dei decenni successivi, quelli che sembrano eventi di una vita fa sono diventati un importante punto di svolta nella mia vita. Nel 1970, tornando alla Concordia University, River Forest, Il, dopo una pausa invernale, mi è capitato di vedere in una bacheca un l'avviso di un posto disponibile presso Casa Cares a Firenze, Italia. Ero a conoscenza di Casa Cares mentre la nostra scuola inviava donazioni periodiche. Ho chiamato mia madre per farle sapere del mio interesse per l'applicazione. Lei non era contenta. "Termina la laurea e poi vai", ha consigliato. Al terzo anno studiavo come insegnante di musica per il sistema scolastico luterano del Sinodo nel Missouri, ma per quanto amassi la musica sapevo che insegnare non era la mia vocazione. Fortunatamente per me, il capo di mia madre era italiano e, sentendo il mio desiderio di andare, la ha convinto. "Jean", disse, "lasciala andare. Sarà la cosa migliore che abbia mai fatto. Avrà esperienze che non potrà mai ottenere da nessun libro." Dato che mio padre era morto sei anni prima, mia madre si rivolgeva spesso al suo capo per un consiglio e così alla fine acconsentì. Fortunatamente, sono stato accettato per la posizione.

Quando guardo indietro, non sono sicuro del motivo per cui avevo la necessità di deviare da quello che sembrava essere un piano di vita perfetto, ma sono contento di avere avuto la tenacia di farlo. Venti anni, biglietto in mano acquistato con tutto il denaro che avevo in banca, una valigia, nessuna conoscenza della lingua italiana, impazzita, salivo i gradini sull'aereo Alitalia chiedendomi cosa ci aspettasse e cosa fossi pensiero?! Mi sono seduto accanto a un uomo molto grande che ha occupato due posti, non parlava inglese e continuava a offrirmi pasticcini grassi. Ho pianto l'intero volo. (Sono abbastanza sicuro di aver pianto tutto il primo mese in cui ero anche a Casa Cares!)

Credo che sia stato Paul Krieg a recuperarmi dall'aeroporto per portarmi in via Pisana 77 a Firenze. Ricordo la bella strada e l'approccio all'incantevole Villa Strozzi, in cima a una collina, sede di Casa Cares, e la mia nuova casa lontano dal Cheshire, nel Connecticut.

Avevo diverse compagne di camera, due dalla Svizzera e uno da Baltimora, MD. È sempre un sollievo quando non parli una lingua essere in compagnia di qualcuno che parla la tua! Tuttavia, l'italiano è stata l'unica lingua parlata nelle riunioni di casa, quindi per darmi il tempo di impararlo sono stato assegnato alla lavanderia. Mi ricordo il seminterrato buio, la lavatrice antiquata e i molti vestiti. Ho dovuto riempire la macchina di acqua con un tubo, quindi accendere una luce pilota per riscaldare l'acqua. Questo mi rendeva nervoso ogni volta. Non mi è mai dispiaciuto fare il bucato, ma ho fatto dei nemici quando ho accidentalmente gettato qualcosa di rosso con le uniformi da calcio bianche dei bambini e sono venute tutte ROSE! Non potevo parlare abbastanza italiano a quel punto per capire le parole arrabbiate che venivano scagliate nella mia direzione, ma sapevo che non erano felici. Non è stata necessaria alcuna traduzione per cogliere lo sbaglio che avevo appena commesso! Dopo ciò potrei sono stato espulso dai miei doveri di lavanderia!

Il mio prossimo incarico è stato la sorvegliante per otto ragazzini, i piccoli. Li ho fatti alzare la mattina, ho fatto scendere al piano di sotto a fare colazione e poi li ho accompagnati a scuola. Sono abbastanza sicuro che le prime parole che mi hanno insegnato erano parolacce. Sapevo che si stavano divertendo molto a prendermi in giro credendo che fossero utili come miei insegnanti. Mi hanno anche ingannato dicendomi che la mortadella era carne di asino, che mi ha respinto e mi ha fatto dare la mia porzione al miglior offerente, ovvero quello con il sorriso più grande, di solito Davide.

Mentre i bambini erano a scuola, ho potuto praticare l'italiano guardando la piccola Sara, che all'età di tre anni (?), Parlava alla pari con me. Dopo aver studiato un anno di latino, quattro anni di liceo francese e un anno di tedesco al college, ho trovato l'italiano una gioia da imparare mentre mi addentrai. Paul mi ha organizzato generosamente per controllare le lezioni di grammatica italiana presso il campus di Firenze dell'Università Gonzaga. La mia capacità di parlare italiano stava migliorando, ma non avevo idea di come leggerlo o scriverlo, quindi ho trovato utili le lezioni.

Vivere nella villa è stata un'esperienza straordinaria in sé. Quante persone hanno l'opportunità di vivere in una villa costruita per la famiglia Strozzi, una delle principali famiglie del Rinascimento? Sebbene la villa fosse in uno stato di rovina, le sale principali erano incredibilmente decorate con pareti dipinte secolari, maniglie delle porte d'oro, soffitti alti, finestre alte e maestose e un certo numero di piani. Non ricordo quanti piani, ma so di aver salito molte scale durante il giorno.

La camera da letto che condividevo con le mie compagne era riscaldata da un camino a legna e da una stufa, quindi faceva piuttosto freddo in inverno. Inoltre ci veniva assegnato un bagno a settimana. Il nostro stipendio mensile era di 25 dollari USA.

Ricordando i terreni bucolici che circondano la villa, ho affettuosi ricordi di aver camminato attraverso la distesa di erba e alberi raccogliendo pinoli, mangiandoli il più velocemente possibile, mentre immaginavo come fossero i giardini originali centinaia di anni prima . Sparsi elementi del giardino e statue, la fontana nel cortile anteriore e il giardino d'inverno si prestavano alle riflessioni dei secoli passati e a come doveva essere la vita quotidiana per l'élite e la classe inferiore le cui vite, insieme alla mia, erano intrecciate da questo proprietà.

Uno dei miei vividi ricordi è quando Antonio, il cuoco, è morto. Nella consuetudine del giorno, è stato adagiato nel suo letto per la visione. Era un'usanza con la quale non ero a mio agio, ma dovevo accompagnare alcuni dei bambini in modo che potessero rendere omaggio. Non credo di aver dormito bene per le notti successive sapendo che il suo corpo era in fondo al corridoio. Dopo un po' di tempo, il rigor mortis era entrato ed era difficile non solo muovere il suo grande corpo, ma adattarlo alla sua bara. Ricordo vagamente qualcosa su una bara più grande fatta per accoglierlo.

Uno dei momenti salienti della mia permanenza a Casa Cares è stato quando un gruppo di noi è andato nella regione piemontese vicino a Torino per aiutare a raccogliere l'uva. Sono sicuro di non aver mai lavorato fisicamente così duramente in vita mia e quindi mi ha lasciato un'impressione indelebile. Ci alzammo al buio (dopo aver dormito in un letto di fattoria così in alto che mi serviva uno sgabello per entrare e uscire), facemmo colazione al buio, pranzammo e merendemmo nei campi, poi tornammo alla fattoria per cenare nel buio, e cadendo a letto sfiniti, ma non vedo l'ora che arrivi il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Non sono sicuro di quanto tempo ci siamo stati, ma voglio dire buona parte di una settimana. Non dimenticherò mai di salire e scendere una scala nei campi con una manciata di uva bianca che doveva essere delicatamente messa in una cesta. Nessun lancio dalla cima della scala, come l'uva rossa. L'uva bianca era più delicata e richiedeva più attenzione. Ci penso ogni volta che lavo l'uva del supermercato nel lavandino della cucina.

Ho dimenticato i nomi di molti residenti e personale, ma non ho dimenticato i loro volti. Da Davide, il più giovane dei piccoli, a Barbara Thuner, una delle tante adorabili svizzere che mi hanno insegnato a fare Bircher Muesli, e molte altre a cui ho spesso pensato negli anni, mi lascia un senso di un momento magico che Casa Cares sembrava creare. Eravamo una specie di Nazioni Unite, riuniti da ogni cammino e circostanza, collegati dallo spirito.

Sebbene Casa Cares fosse una casa per molti, è stata un'accogliente sosta per i viaggiatori in cerca di un pasto caldo e un camera. Non ero a conoscenza di nessuno che fosse mai allontanato. Ho incontrato persone provenienti da tutto il mondo che hanno trovato la strada per le porte aperte della villa sulla collina. Alcune impressioni furono più durature, come la donna americana che viaggiava in un'auto sportiva con la sua Weimaraner. Il cane era grande come me e ha insistito per dormire nel mio letto con me. Una mattina mi sono svegliato con lui sopra di me, con tutto il peso corporeo e il russare in faccia. Ho dovuto chiedere aiuto per rimuoverlo!

L'essenza di Cares consisteva nel prendersi cura di tutte le persone indipendentemente dal percorso che le portava alle sue porte. È stato un momento speciale per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di aver vissuto una preziosa opportunità di servizio. Lo considero una delle mie più grandi benedizioni e sono grato che la mia meravigliosa madre, che ora ha 97 anni, abbia accettato di lasciarmi trovare un nuovo percorso per la mia vita. Casa Cares era il portale per quel percorso e sono eternamente grato.

Janine Thomas, South Windsor CT USA, January '16

ANTOINETTE STEINER

Volontaria '70-'72 Responsabile '83-15

Poco tempo fa ho trovato una vecchia copia del giornalino bimensile "amico!" datata gennaio 1971. All'epoca dell'istituto teneva informati gli amici e i sostenitori in Italia, Svizzera e USA sulla vita di Casa Cares e offriva una piattaforma per collaboratori e ragazzi per esprimersi. Scrissi un breve articolo sulle mie osservazioni da nuova volontaria appena arrivata che fu pieno di entusiasmo della Villa i Graffi, della sua potenzialità e della bellezza del paesaggio circostante. Descrissi l'esplosione dei colori autunnali davanti alla nebbia bianca del Valdarno e le montagne del Pistoiese coperte di neve come sfondo.

Oggi, 45 anni dopo, la mia memoria della prima visita alla Villa i Graffi mi conferma esattamente questo ricordo. Fu durante il periodo della vendemmia del 1970 che noi quattro “caresini”, guidati da un agente immobiliare, in viaggio dalla sede di Via Pisana, alla ricerca di una nuova casa per i nostri 30 ragazzi, soffrimmo di mal di macchina per colpa delle mille curve e della puzza di gas dal nostro vecchio pulmino. Non aiutò certamente la triste nebbia nel Valdarno e la lontananza dalla città che ci sembrò esagerata per una nuova sede. Il nostro verdetto unanime fu quindi "tanto qui non si andrà mai a vivere, stiamo facendo un viaggio di tutto inutile".

Il nostro umore si cambiò radicalmente superando delle ultime curve e all'arrivo nel pieno sole con la campagna autunnale davanti e la vista splendidasulla nostra meta, la Villa i Graffi. Arrivatici Mario, il contadino del podere, ci aspettò davanti alla Villa con un bicchiere di vino, il pane fresco e una fetta di pecorino. Fu lui che ci guidò da una stanza all'altra, aprendo tutte le persiane per aprire la vista sulla nebbia bianca sotto di noi, i tigli gialli, i salici arancioni e le montagne spruzzate di neve fresca all'orizzonte. L'intenso odore di fuoco di legno onnipresente ci accompagnò come il fantasma dei vecchi padroni in questa prima visita e fummo entusiasti dal luogo e dalla gentilezza di chi ci accolse.

Subito dopo le decisioni sull'acquisto furono rapidissime e il trasloco venne fatto nel gennaio del 1971.

Nonostante tutta la bellezza attorno, l'iniziale vita quotidiana nella nuova sede si presentò assai dura. A parte delle sfide ordinarie che dovemmo affrontare dopo un trasloco, come l'inserimento dei ragazzi nelle nuove scuole di Reggello, ci attese il lavoro grosso di riscaldare tutti gli ambienti, alimentando le stufe a legno e i caminetti. E poi ci fu la stagione della raccolta delle olive, di cui nessuno di noi era pratico. Subito fu realizzata una nuova cucina al semi interrato e per la nostra fortuna Ilide, la moglie di Mario, si mise a disposizione come cuoca insieme alla nostra Gina .

Di questi primi tempi mi è rimasto indimenticabile il lavoro di rigovernatura dopo i pasti. Per ragioni idriche a me sconosciute mancò l'acqua nella cucina sul pianterreno quindi dovevamo procurarcela nei secchi dal rubinetto dietro la Villa, riscaldarla su una fiamma a gas per poi strofinare con l'abrasivo il sugo rosso dalla plastica dei piatti. Un ricordo quasi cerimoniale su un lavoro ordinario che durò qualche ora quotidianamente e che, diversi decenni dopo, divenne il mio racconto preferito ai volontari di oggi che, nella stessa cucina, adoperano la lavastoviglie con leggerezza.

Nell'ultima frase del mio articolo scrissi della speranza che la nuova proprietà potesse servire sempre di più a luogo di incontro fra le diversità con uno spirito libero e giovanile, come mi sipresentò il Cares al mio arrivo. Oggi, dopo tanto tempo, mi rimane lo stesso augurio sulla soglia di un nuovo capitolo nella storia di Casa Cares. Che possa continuare a trovare la sua strada variopinta fra servizio, ospitalità e cura per l'ambiente usufruendo sempre di più della sua potenzialità e delle sue risorse. E che il Signore continui ad accompagnare e illuminare le persone coinvolte come ha fatto fino a oggi.

Antoinette Steiner, Reggello FI, 1 Febbraio '16

SILVIA GASTALDI

Figlia di Ugo Gastaldi, uno dei fondatori di Casa Cares

Mio padre faceva frequenti viaggi a Firenze per visitare Casa Cares e quando tornava i suoi occhi brillavano senza ombra di stanchezza: i colloqui con i ragazzi, l’atmosfera della casa, l’impegno dei collaboratori ,lo ripagava di quei fine settimana spesi fuori casa.

I suoi occhi brillavano di meno quando nelle riunioni di Comitato si parlava di finanze! E’ vero che c’erano persone molo generose, sia in Italia che all’estero, ma ci voleva una certa continuità nelle offerte per poter operare serenamente. Per questa ragione venne deciso di stampare al ciclostile, con minima spesa, il giornalino “Amico!” che veniva spedito a chiunque facesse una offerta alla Casa. Conteneva notizie sui ragazzi e sull’andamento della casa, ma anche meditazioni e racconti.

Questo Amico era un ospite fisso a casa nostra . Ogni due mesi articoli, disegni, fogli da pinzare, ingombravano il tavolo del soggiorno per molti giorni in una attività febbrile che coinvolgeva tutta la famiglia. Mia mamma batteva a macchina tutto il giornalino, gli zii Enzo e Ginetta inviavano articoli e racconti. Anche zio Lello (Aurelio Mauri Paolini ) era un membro del Comitato e molto generoso!!

Anche io e il mio fidanzato, ora marito, fummo maggiormente coinvolti un giorno del 1963 quando durante una riunione il direttore Bob Mac Connell lanciò un appello per trovare dei volontari per il periodo estivo. Passammo così una settimana alla villa di via Aretina dove conobbi tante care persone, Gioele Mongiovetto, la Gina ,e “caresini” che ancora oggi incontro con piacere, anche se raramente.

Un ricordo vivido è legato all’alluvione di Firenze del 1966. Con le comunicazioni interrotte e consapevoli che nella casa non c’era il direttore, recatosi in Piemonte già da alcuni giorni, rimanemmo con il fiato sospeso finchè dalla radio arrivò la sospirata notizia che i ragazzi e gli operatori di casa Cares erano tutti sani e salvi. La villa non era stata raggiunta dalla piena dell’Arno e con quanto orgoglio e soddisfazione apprendemmo poi che i ragazzi avevano aperto la casa per offrire un rifugio asciutto e un pasto caldo agli alluvionati!

Con una mano ricevi e con l’altra dai!

Lidia Gastaldi, Milano, Settembre 2018

ADRIANO RUSSO

Ragazzo, Istituto 1963-1969

Dio mandò sulle nostre strade noi tutti, ma resta il fatto che tutti i ragazzi del Cares avevano disastri o sciagure nelle rispettive famiglie. Pensando a una figura molto importante come il Professore Maselli, alcune memorie risalgono al 63/64 di via Aretina per poi passare a via Pisana. Mio padre morì nel giro di poche ore il 23 dicembre del 62; andò a lavoro alle 13,30, alle 17 rientrò a casa per un malore, alle 20 morì. Avevo 10 anni e mia madre si trovò sola senza alcun parente disponibile ad un minimo aiuto. L'unica cosa che potè fare era metterci in collegi italiani fatti di suore, sacerdoti, sbarre alle finestre, scuole interne ai collegi senza contatto alcuno col mondo. Facevo la quinta elementare vicino a casa ma l’ho dovuto ultimare in collegio a Maiori.

Nella primavera del 63 mia madre conobbe una svizzera Marta (che tra l'altro non ricordo bene). Lei parlò di noi tutti, non so per quale motivo scelsero me, ma Marta ci invitò a Firenze per vedere i metodi educativi di questo pastore protestante (Bob). Non so cosa combinarono (posso immaginarlo), ma mia madre, legatissima a me, preferì la lontananza di Firenze, ma con metodi educativi meno carcerari, ai collegi della Campania, dove trovarono spazio mio fratello a Portici, mia sorella maggiore dalle suore a Torre gel Greco, le 2 più piccole dalle suore a Castellammare.

Maselli sapendo di questo ragazzino di Torre ed essendo lui in contatto costante con un certo Pasquale Candurro, fondatore di una piccole chiesa evangelica in Via Scappi (Cappella Bianchini) invitava tutte le volte che si recava a Torre per il culto domenicale mia madre, per darle conforto sulla lontananza che ci separava. Diverse volte mia madre approfittava per mandarmi qualcosa, (dolci, vestiti) per quanto poteva, molto poco. NON POTEVA. Nell'ottobre del 64 Maselli, in occasione di un pranzo nel salone ci presentò 2 bambine che ovviamente conoscevo benissimo. Maddalena e Rosaria, sorelle di Riccardo Petrarolo. Quest'ultimo Frequentava la mia stessa scuola a Torre, e abitavamo nello stesso quartiere. Fu per me una sensazione meravigliosa - c'erano 2 bambine del mio quartiere, sorelle di un mio grande amico. La mamma di Riccardo aveva chiesto a mia madre un contatto con Maselli per avere un aiuto per i suoi ben 7 figli, che praticamente curava da sola. Quella gioia durò pochi minuti. Il Professore Maselli mi porto a fare una passeggiata a Rovezzano (via Aretina), e al bar mi offrì una pasta, e tra non poche difficoltà mi informava della morte di mia madre. Avevo 12 anni e da quel momento la mia famiglia divento Casa Cares.

Maselli continuò nel tempo a portare notizie delle bimbe a Margherita, la mamma dei Petrarolo. A 16 anni ebbi una animata discussione col Professore, in quanto mai mi aveva detto com'era morta mia madre. Trovava sempre il modo per evitare di discuterne. Lo seppi in un modo inopportuno quando a Torre qualcuno molto indelicatamente, e probabilmente convinto che io ne fossi a conoscenza, accennò al modo cruento che portò a morire mia madre, tutto questo me lo porto ancora adesso addosso. Ho stimato Maselli in vita, e rispetto la sua memoria ma credo fermamente che avrebbe povuto prepararmi. Saperlo da lui sarebbe stato un gesto d'amore, ma evidentemente lui non sentiva di farlo.

Dopo questo momento difficile Maselli riuscì a riconquistare la mia fiducia, e si teneva ben informato su di me anche quando lasciai Casa Cares nel 69 per cominciare a lavorare in Alitalia a Fiumicino, (Maselli mi chiamava il PILOTA). Comunque, frequentavo spesso i Graffi nei week end anche per interessi amorosi. Ormai la comunità di Torre si estese a diverse persone, perchè in tanti chiedevano una sistemazione per i propri figli, se non ricordo male anche i Bosone ecc., venivano da Torre. Credo di aver condiviso indizi sufficienti. Ovviamente a distanza di 55 anni possono esserci anche delle distorsioni della realtà. Mi ricordo che a Portici c'era un collegio evangelico da cui mi sembra venisse Claudio, fratello di Riccardo, Maddalena e Rosaria. Quindi non tutti i Torresi potrebbero aver contattato Maselli tramite la chiesa di Cappella Bianchini, ma certamente qualcuno da Casa Materna a Portici è arrivato

Adriano Russo Monteforte irpino , Ottobre 2018

PAUL KRIEG

Volunteer, 1965-66

My written contribution for the site is divided among the four phases (2, 3, 5, 7) that I personally experienced.

Al Landes, Art Himmler and I arrived in late summer 1965, the first volunteers over a series of years from Concordia Teachers College, River Forest, IL. The previous year Sandy Anderson had spoken enthusiastically about wanting to help in a Florentine children's home. Before transferring to Concordia, Sandy had studied at the Stanford University extension campus in Florence and with other students had come to know Casa Cares and Bob McConnell. I did not look for the opportunity and hesitated so long that Al told me to decide or they would find someone else.

The three of us, one could say, had "dropped from the clouds". None had been out of the United States and each had lived pretty much in a small world of family and church. Al had the advantages of being a bit older, having a number of siblings, and being a musician. He quickly put together a choir that was precious for the children and appreciated by many.

After a significant culture shock, we adapted to our unique lives with the children. In my work with 10-12 boys, ages 10-13, I was fortunate to have first one and then another strong Swiss woman as work partner. Rosemarie Siegfried and Nelly Frieden were two of the many Swiss, mostly women, who formed the foundation of the staff since Comandi and for the years to come. It was good that "Frieden" was a bit more "Krieg" than I was because the boys needed strong guidance.

Looking back I realize, like other former young volunteers who have reminisced with us, that we did what we could but it was not much. The overall situation, however, seems to have been good for most of the children: they had clear direction from the leadership, a sense of belonging, and the company of other children young adults.

Many are the stories I could relate from these years. I enjoy doing that in person, but here I will just recall my roommates: Gianni (5 years old) and Adriano and Andrea (both 7). It was an unusual arrangement, to be sure. On the top floor of the immense villa I recall the tiniest of bedrooms, just enough space for two bunk beds. What heating there was came from a small metal wood-burning stove (porcellino). In the evening I filled it with broken fruit boxes before climbing into an upper bunk. Early in the morning I lit the fire in the chilly room to provide a cozy welcome to the new day.

The times together in the spectacular eating room, which also served for concerts and worship, provide poignant and positive memories. The meals took getting used to for us Americans, but being limited we came to look forward to the pasta, peas, provolone and the other staples on the menu. Such things as cooked fennel were entirely new to us. The breakfast of a bowl of hot barley substitute-coffee and milk was something I came to look forward to, especially with pieces of dry Tuscan bread immersed in it. Dear Gina cut the bread in anticipation so it would dry in order to limit our eating too much! She was also the one at snack time who dispersed that same bread with spread cheese (formaggini) or cioccolatini.

The months of that first volunteer stint passed quickly and I left the following summer not knowing if I would ever return. Also I thought we had made a contribution or at least that any damage we did was not too great! The total experience clearly was a blessing, for me.


Il mio contributo scritto a questo sito è diviso fra le quattro fasi (2, 3, 5, 7) che ho vissuto personalmente.

Al Landes, Art Himmler e io arrivammo alla fine dell'estate del 1965, primi volontari di una serie negli anni seguenti dal Concordia Teachers College, River Forest IL. L'anno precedente Sandy Anderson aveva parlato con entusiasmo di voler aiutare in un istituto per bambini a Firenze. Prima di trasferirsi a Concordia, Sandy aveva studiato al campus della Stanford University a Firenze e con altri studenti aveva conosciuto Casa Cares e Bob McConnell.

Noi tre, si potrebbe dire, eravamo letteralmente "caduti dalle nuvole". Nessuno di noi era uscito prima dagli Stati Uniti e ognuno aveva vissuto praticamente in un piccolo mondo di famiglia e chiesa. Al aveva il vantaggio di essere un po' più maturo, di avere diversi fratelli e di essere un musicista. Appena arrivato a Casa Cares ha subito messo insieme un coro che era prezioso per i bambini e apprezzato da molti.

Dopo un significativo shock culturale, ci siamo adattati alle nostre vite affascinanti con i ragazzi. Nel mio lavoro con 10-12 ragazzi, di età compresa tra i 10 e i 13 anni, ho avuto la fortuna di avere prima una e poi un'altra forte donna svizzera come partner di lavoro. Rosemarie Siegfried e Nelly Frieden erano due dei molti svizzeri, per lo più donne, che costituirono la base dello staff dal tempo dell'Istituto Comandi e poi per gli anni a venire. Era bello che "Frieden" ("pace" in tedesco), fosse un po' più "Krieg" ("guerra" in tedesco) di me perché i ragazzi avevano bisogno di una mano decisa. Quelli che venivano da Napoli ci insegnarono subito che cosa vuol dire "furbo".

Guardando indietro mi rendo conto, come hanno fatto altri ex giovani volontari con cui abbiamo avuto l'occasione di parlare, di aver fatto quello che potevamo che poi non era molto. Ma la situazione generale era buona per la maggior parte dei bambini con una chiara direzione di leadership, un senso di appartenenza e la compagnia di altri bambini.

Molte sono le storie che potrei raccontare da quegli anni, e sarei felice di farlo di persona, ma qui ricordo solo i miei coinquilini: Gianni (5 anni) e Adriano e Andrea (entrambi 7). Noi quattro eravamo sicuramente un gruppetto insolito. Ricordo la più piccola delle camere da letto, all'ultimo piano della immensa, storica villa, con i suoi due letti a castello. Il riscaldamento veniva da una piccola stufa a legna (porcellino). L'ho riempito con cassette di frutta rotte prima di salire in un lettino superiore e accendevo il fuoco alla mattina presto come allarme in modo che potevamo alzarci in una camera accogliente.

I momenti insieme nella spettacolare sala da pranzo, che serviva anche per concerti e culto, sono ricordi positivi. Noi americani ci siamo presto adattati ai pasti, ma essendo limitati come varietà e quantità abbiamo anticipato quasi con felicità i piselli e la provolone e le altre offerte del menu. Non vedevo l'ore di godere della colazione di una tazza di caffè d'orzo caldo e latte, sopratutto con pezzi di pane toscano secco e mollo. Cara Gina: tagliava il pane in attesa che si asciugasse un po' per limitare il nostro mangiare! Era anche colei che distribuiva alle merende lo stesso pane con formaggini o cioccolatini.

Alla fine i mesi passarono velocemente e io partii l'estate seguente senza essere certo di tornare. Pensavo che aver dato un contributo o almeno di non aver fatto troppi danni! L'esperienza chiaramente è stata una benedizione, per me.

Paul Krieg, Reggello FI, Novembre, 2018

VRENI MARTI

Volontario 1964

Come fa una giovane Emmental, che non è mai stata all'estero, a scoprire un'istituzione di Casa Cares a Firenze?

Era l'autunno del 1964. Mi sono seduto in uno studio dentistico a Burgdorf nella sala d'aspetto e ho letto l'offerta di lettura. In una rivista "Life and Faith" mi ha colpito una relazione di Annette Keller su una casa protestante per ragazzi a Firenze. Ho strappato la pagina appropriata dal blocco note. A casa, ho scritto all'indirizzo indicato su Via Aretina 509 e "applicato" per un lavoro a Casa Cares. Immediatamente, una risposta è tornata da Firenze. Ho lasciato il mio lavoro come impiegato amministrativo presso il centro di scrittura della comunità a Rüegsau alla fine di febbraio 1965. All'inizio di marzo 1965 ho fatto le valigie e sono partito per la prima volta all'estero - e per conto mio - ne sono ancora meravigliato. È stato deciso che qualcuno mi venisse a prendere alla stazione di Santa Maria Novella. Sfortunatamente, nessuno era lì! Con le mie poche abilità di lingua italiana da scuola e scuola professionale, sono riuscito a organizzare un taxi. Il conduttore guidava e guidava, e stavo cominciando a chiedermi dove mi avrebbe portato. Prima di tutto, non sono mai stato in una grande città e, in secondo luogo, non sapevo nulla di così tante strade a senso unico. Mi sono ambientato rapidamente in questo "grande business" un po 'caotico nella bellissima villa: ho trovato subito uno sbocco per i bambini, numerosi impiegati provenienti da Svizzera, Germania, Marocco, Italia, Inghilterra e Stati Uniti. Tutto era come lo descriveva Annette - mi sentivo molto bene. E naturalmente ero e sono ancora entusiasta del paesaggio toscano, dell'Arno e della città di Firenze. Dopo una fase di addestramento in guardaroba, mi è stata data la supervisione delle ragazze ora registrate.

Ad un certo punto ci è stato detto che dovevamo allontanarci da Via Aretina alla fine di luglio. Non so con che tipo di relazioni si possa trovare la magnifica villa di Via Pisana. Sfortunatamente, non c'era abbastanza spazio per tutti i bambini. Come è stata soddisfatta la selezione dei bambini rimasti, non ho potuto capire. Durante il trasloco, quei bambini che non potevano andare a casa dovevano essere sistemati da qualche parte. Fino al nuovo arrivato in Via Pisana, Hanni Huggel, Susy Geyer, Walter Cechetti e io eravamo con un gruppo di bambini a Rufina, dove potevamo trascorrere splendide giornate nell'ambiente unico della campagna.

Vreni Marti ("la Bionda") Spiez CH giugno 2019



Freiwilligerin 1964

Wie erfährt eine junge Frau aus dem Emmental, die noch nie im Ausland war, von einer Institution Casa Cares in Florenz

Es war im Herbst 1964. Ich sass in Burgdorf in einer Zahnarztpraxis im Wartezimmer und las im umherliegenden Leseangebot. In einer Zeitschrift „Leben und Glauben“ beeindruckte mich ein Bericht von Annette Keller über ein evangelisches Heim für Buben in Florenz. Ich riss die entsprechende Seite aus dem Heft. Zu Hause schrieb ich an die angegebene Adresse an der Via Aretina 509 und „bewarb“ mich um eine Stelle im Casa Cares. Umgehend kam eine Antwort aus Florenz zurück. Ich kündigte meine Stelle als Verwaltungsangestellte auf der Gemeindeschreiberei in Rüegsau auf Ende Februar 1965. Anfangs März 1965 packte ich meinen Koffer und reiste das erste Mal ins Ausland – und das noch ganz alleine – hierüber staune ich eigentlich noch jetzt. Vereinbart war, dass mich jemand an der stazione Santa Maria Novella abholen würde. Leider war niemand da! Mit meinen wenigen Italienischkenntnissen aus der Schul- und Berufsschulzeit schaffte ich es, ein Taxi zu organisieren. Der conduttore fuhr und fuhr und mir wurde langsam bange, wo er mich wohl hinbringen würde. Erstens war ich ja noch nie in einer Grossstadt und zweitens wusste ich auch nichts von so vielen Einbahnstrassen.

Ich lebte mich rasch in diesen etwas chaotischen „Grossbetrieb“ in der wunderschönen Villa ein - fand sofort Anschluss an die Kinder, an die zahlreichen Angestellten aus der Schweiz, aus Deutschland, aus Marokko, aus Italien, aus England und den USA. Alles war so, wie es Annette beschrieben hatte – ich fühlte mich pudelwohl. Und natürlich war und bin ich immer noch begeistert von der Toscanerlandschaft, vom Arno und von der Stadt Florenz. Nach einer Einarbeitungsphase in der guardaroba wurde mir die Betreuung der inzwischen aufgenommenen Mädchen übertragen.

Irgendwann wurde uns mitgeteilt, dass wir Ende Juli von der Via Aretina wegziehen müssen. Mit was für Beziehungen die prächtige Villa in der Via Pisana gefunden werden konnte, weiss ich nicht. Leider war hier nicht mehr genügend Platz für alle Kinder. Wie die Auswahl der verbleibenden Kinder getroffen wurde, konnte ich nicht nachvollziehen. Während der Umzugszeit mussten diejenigen Kinder, die nicht nach Hause konnten, irgendwo untergebracht werden. Bis zum Neueinzug in der Via Pisana waren Hanni Huggel, Susy Geyer, Walter Cechetti und ich mit einer Schar Kinder in Rufina, wo wir wunderschöne Tage in der einmaligen Umgebungdes auf dem Land verbringen konnten.

Vreni Marti ("la Bionda") Spiez CH Juni 2019

GIULIO SALVO

Ragazzo, 7 novembre 1966

Era il 7 novembre del 1966; Firenze era tutta ingombrata dall'acqua e dava un brutto aspetto per chi la vedeva per la prima volta. Sono arrivato a Firenze alle 7 di mattina e subito io e la mia famiglia ci siamo diretti al "Cares". Appena entrai nel Cares mi sentivo come a casa mia, perché sentivo che in questo nuovo istituto c'era qualcosa di strano, di famigliare, di intimo. Nei primi due giorni al Cares constatai con grande meraviglia, che i ragazzi erano liberi e non era come negli altri istituti, dove i sorveglianti oprimevano i ragazzi, e facevano il possibile per dimostrarlo. Dopo una settimana, mi accorsi che nel Cares ci doveva essere qualcosa che fino a quel momento non avevo mai avuto; subito mi misi alla ricerca di questa cosa sovrumana, che viveva e che vive ancora nel Cares.

Sono ormai 2 anni che vivo al Cares, ed ho finalmente trovato e imparato quella cosa che cercavo nei miei primi giorni: era Gesù; per Lui il Cares sì distingueva e si distingue fra tutte le altre case del mondo. Spero che anche voi abbiate perlomeno tentato i trovare Cristo. Il Signore Gesù dice "Ci cerca trova" e se voi cercate Cristo con cuori aperti e sinceri Egli verrà.

Giulio Salvo Napoli Giugno 2019

Nota gestore - il testo è apparso sul periodico di Casa Cares Amico nel 1968 quando Giulio aveva 14 anni. Egli ha ritrovato il testo durante il fine settimana della presentazione del sito, giugno 2019, e ha richiesto di inserirlo come il suo contributo.